Non credo nelle rivelazioni. Non sono altro che ennesime illusioni che proiettano su un traguardo e distolgono lo sguardo da quello che conta: il viaggio. Qui. Ora.
Credo nella catarsi. Nel breve, brevissimo istante in cui trapela uno sguardo vero della fessura lasciata tra una maschera che viene tolta e la successiva che viene indossata, come lampioni che abbagliano ritmicamente, cadendo su una retina stanca e puntata sull’asfalto mentre guidi distrattamente la solita strada buia.
Inondazioni in terreni eternamente aridi, resi aspri e assetati dall’amnesia del quotidiano, dalla cecità causata dall’impossibilità d’intravedere meccanismi cosmici. Così secchi e sterili, ogni goccia non porta ristoro ma si accumula inutile finché non diventa inondazione e porta l’assetato ad odiare ciò di cui più ha bisogno.
C’è qualcuno dietro l’ultima maschera? Chi siamo in fondo se non le azioni che compiamo mentre siamo mascherati. Ma io continuo a intravedere quegli sguardi veri che trapelano e non riesco a fingere che non esistano, non riesco a fingere che sia solo costante finzione. C’è qualcuno dietro l’ultima maschera ed è lo stesso dietro a tutte le altre. E’ con lui che dobbiamo fare i conti. E’ lui l’unico giudice eterno ed inflessibile. L’unico che non possiamo vedere perché, in quel preciso istante in cui si rivela, siamo chinati a scegliere la prossimo volto da indossare.
Se solo avessimo il tempo e il coraggio di alzare un poco lo sguardo, in quel nanosecondo, e vedere chi c’è nello specchio, la smetteremmo di sguazzare nel letame maleodorante delle nostre scuse. Scuse. Tutto si riduce a questo. Religione, politica, economia, famiglia, legge, scienza, istruzione, a volte persino quello che vogliamo, che crediamo… sono storie che ripetiamo come mantra, ad un unico fedele, noi stessi, al fine di tenerlo in ginocchio in adorazione e non fargli gettare quell’unico fatidico sguardo che sgretolerebbe ogni singola finta battaglia in cui ci impegniamo per non guardare il tutto e quanto siamo piccoli di fronte ad esso.
Credere genera paura. Ecco perché l’unica libertà è l’assenza di paura che coglie chi non ha nulla. Nulla da perdere in tasca e nulla in cui credere nella testa.