Sono sopraffatto dall’ingenuità e dalla mancanza di visione che esiste oggi.
C’è un video che ha girato parecchio in rete in cui un personaggio pubblico tiene un discorso presso la Oxford Union (un’associazione studentesca fondata dall’omonima università).
Il video ha fatto il botto perché lo spezzone che circolava era il frammento in cui venivano criticate le recenti proteste contro il cambiamento climatico con delle argomentazioni evidentemente molto convincenti. Questo spezzone faceva parte di un’invettiva molto più ampia e a 360° contro la cultura woke. Ora, io di certo non ho simpatia né verso la cultura woke né verso i vari movimenti che si battono contro il cambiamento climatico essendo questi ultimi, secondo me, innocui nella migliore delle ipotesi perché sbagliano di gran lunga il bersaglio oltre che il mezzo per raggiungerlo.
Detto questo però, sono rimasto abbagliato dal seguito che questo video ha avuto e di come quelle argomentazioni siano sembrate valide.
In breve, l’oratore attacca le proteste contro il cambiamento climatico in Inghilterra (ma possiamo traslare il discorso per ogni paese occidentale) perché le emissioni di CO2 dell’Inghilterra pesano solo per il 2% sulle emissioni a livello mondiale, e il futuro del clima è quindi deciso da paesi che emettono decisamente più CO2 come quelli in Asia o America Latina. Quei paesi però non faranno nulla per tagliare le loro emissioni, perché? Perché sono poveri. Non hanno il benessere economico, strumentale né sociale per sforzarsi in tal senso. Quindi, le persone che protestano in Inghilterra contro il governo inglese (così come in qualunque altro paese dell’occidente) stanno solo perdendo tempo e piangendosi addosso, protestando contro le persone sbagliate, rompendo le scatole a governi che fanno già molto e non sono la causa del problema.
Sempre secondo l’oratore, questa gente dovrebbe smettere di protestare e iniziare a fare qualcos’altro. Che cosa? Studiare. Studiare e lavorare, fare ricerche scientifiche, con lo scopo di inventare qualcosa di efficiente ed economico per tagliare le emissioni, qualcosa che possa quindi essere usato da tutto il mondo, anche dai paesi poveri. Ecco la soluzione!
Ripeto io non ho simpatie né verso la cultura woke, né tantomeno voglio difendere le proteste contro il cambiamento climatico portate avanti da attivisti come quelli di ultima generazione. Ma queste argomentazioni sono ridicole e ignorano completamente lo stato delle cose, sostituendo la causa con l’effetto. È indiscutibilmente vero che paesi come, ad esempio, la Cina e l’India pesino, in termini di emissioni di Co2, tragicamente di più rispetto alla stragrande maggioranza dei paesi dell’occidente, ma è ridicolo pensare che per questa ragione il problema siano esclusivamente quei paesi. Non è che i paesi più poveri che inquinano, inquinano per capriccio. Inquinano perché producono, e producono tanto. E per chi pensate che producano queste cose, visto che sono anche i paesi più poveri? Esatto, producono anche e soprattutto per i paesi occidentali. Prendersela con i paesi ad alta emissione CO2 è come prendersela con la zona industriale di una città, come se quella vivesse di vita propria e non fosse il risultato del mercato e dell’economia che sta attorno a quello che viene prodotto.
I paesi poveri che producono e inquinano sono le periferie del mondo globalizzato e i mandanti di quell’inquinamento sono tutti i paesi del mondo, o meglio, tutti gli abitanti del mondo, ovvero tutti noi. Siamo noi i mandati e lo siamo sempre stati. Se per un verso gli attivisti contro il cambiamento climatico sono, a mio avviso, ingenui e innocui perché riversano le loro invettive contro i governi, come fossero organismi che potessero (e volessero) attivarsi per questo problema, l’argomentazione di questo oratore al contrario assolve i governi occidentali puntando il dito contro le “zone industriali” del mondo assolvendo così anche il nostro stile di vita, l’economia, il produttivismo e la follia del progresso, anzi, invitando a lavorare di più, fare più ricerche, certo grazie a materiali e tecnologie estratti e prodotte nei paesi che poi possiamo accusare di essere gli “untori”.
Certo, potremmo raccontarci la favola che la colpa rimane comunque dei paesi e dei governi in cui avviene la produzione, perché sono loro che decidono di produrla inquinando e non possono o non vogliono produrre facendo attenzione all’impatto che hanno sull’ambiente. Ma sarebbe appunto una favola per bambini, perché senza quel tipo di produzione che implica inquinamento e schiavismo, non esisterebbe alcuna civiltà per come la conosciamo. Mi spiace, non c’è altro modo di produrre le cose di cui fingiamo di avere bisogno e che ci fanno sentire la specie più intelligente sul pianeta se non deturpando l’ambiente e schiavizzando qualcuno a migliaia di chilometri di distanza. È la stessa argomentazione che ho sentito spesso in altri ambiti attivisti, quando si dice che il 70% della CO2 è prodotto dalle sole 100 più grandi aziende del mondo.
Non si guarda perché e per chi queste aziende producano, cioè per i consumatori, per noi. Piuttosto diamo la colpa al cattivo della favola e ci sentiamo ribelli. L’importante è sentirsi assolti. Fa male guardarsi allo specchio e vedersi complici di questo sporco gioco che non è solo inquinamento, cambiamento climatico, distruzione di habitat e massacro di animali, ma è anche alienazione, profonda alienazione, di quelle che ti fanno arrampicare sugli specchi più ripidi purché la colpa si possa dare qualcun altro e purché si continui a far finta di non essere tutti assieme a remare sempre più veloci su questo circo che affonda.