vorrei esser più stanco. più saturo.
nel peggiore dei modi, all’estremo possibile.
forse avrei coraggio o idiozia sufficienti a rendermi finalmente inabile ai pochi lati della vita che ancora considero positivi.
invece no. a quanto pare la benzina non è finita. e io continuo ad esser mio servo. ho voglia.
eppure continuo a pensare a quanto sia strano il salire e scendere delle persone sul mio taxi.
a prescindere dalle loro motivazioni e mete, mi stupisce che siedano con me su questo mezzo, ad affrontare salite e curve… ed io guido sempre al meglio delle mie scarse possibilità, quando però, a pensarci bene, vorrei soltanto guardare fuori dal finestrino.
sono un testimone, sono un occhio, strano e allucinato.
è difficile poter dare una forma o un’organizzazione ai ruggiti d’arte che vomito di tanto in tanto. è tanto difficile quanto sarebbe saggio farlo.
forse mi chiedo troppi perché, ma per me è così normale vedere le impalcature che sorreggono questa così solida realtà… solida per altri. io vedo crepe ovunque; vedo nei giunti metallici le infinite possibilità che avrebbero prodotto realtà totalmente differenti e che sarebbero state accettate senza esitazione semplicemente perché così dev’essere, o non può essere altrimenti.
una farsa in poche parole. che la verità e la realtà siano ciò che casualmente siamo andati creando, nel mondo da una parte, nella mia testa e nella mia arte dall’altro.
per quanto la seconda mi paia più schietta, naturale e meno menzognera della prima, allo stesso tempo mi rendo conto che un mondo di persone come me non sarebbe probabilmente andato lontano. o forse me ne voglio convincere.
mi voglio convincere che le mie visioni siano solo tali, siano solo utopie e vaneggiamenti di chi se li può permettere solo perché altri hanno ragionato e soprattutto agito diversamente.
probabilmente è anche vero… ma se non lo fosse… l’umanità sarebbe sprecata. e lo è.
comunque alla fine, al vertice o alla base di simili ragionamenti, anche le mie impalcature tremano, sinceramente questa volta, perché non ho paura di affrontare il fatto che non siamo niente. siamo sogni intrappolati nel nostro spazio-tempo, nelle nostre infinite ed infinitamente piccole conoscenze.
perché se non si conosce o non si ha coscienza di una fine né di un principio, nulla può essere valutato in dimensioni o tempo.
l’umanità, la terra, l’universo, potrebbero anche non esistere in quanto solo bagliori, effimeri e repentini, all’interno di una storia che è infinitamente più grande… oppure… l’attimo in cui sto scrivendo potrebbe essere l’unica storia che davvero esiste o sia mai esistita nei secoli dei secoli.
nel peggiore dei modi, all’estremo possibile.
forse avrei coraggio o idiozia sufficienti a rendermi finalmente inabile ai pochi lati della vita che ancora considero positivi.
invece no. a quanto pare la benzina non è finita. e io continuo ad esser mio servo. ho voglia.
eppure continuo a pensare a quanto sia strano il salire e scendere delle persone sul mio taxi.
a prescindere dalle loro motivazioni e mete, mi stupisce che siedano con me su questo mezzo, ad affrontare salite e curve… ed io guido sempre al meglio delle mie scarse possibilità, quando però, a pensarci bene, vorrei soltanto guardare fuori dal finestrino.
sono un testimone, sono un occhio, strano e allucinato.
è difficile poter dare una forma o un’organizzazione ai ruggiti d’arte che vomito di tanto in tanto. è tanto difficile quanto sarebbe saggio farlo.
forse mi chiedo troppi perché, ma per me è così normale vedere le impalcature che sorreggono questa così solida realtà… solida per altri. io vedo crepe ovunque; vedo nei giunti metallici le infinite possibilità che avrebbero prodotto realtà totalmente differenti e che sarebbero state accettate senza esitazione semplicemente perché così dev’essere, o non può essere altrimenti.
una farsa in poche parole. che la verità e la realtà siano ciò che casualmente siamo andati creando, nel mondo da una parte, nella mia testa e nella mia arte dall’altro.
per quanto la seconda mi paia più schietta, naturale e meno menzognera della prima, allo stesso tempo mi rendo conto che un mondo di persone come me non sarebbe probabilmente andato lontano. o forse me ne voglio convincere.
mi voglio convincere che le mie visioni siano solo tali, siano solo utopie e vaneggiamenti di chi se li può permettere solo perché altri hanno ragionato e soprattutto agito diversamente.
probabilmente è anche vero… ma se non lo fosse… l’umanità sarebbe sprecata. e lo è.
comunque alla fine, al vertice o alla base di simili ragionamenti, anche le mie impalcature tremano, sinceramente questa volta, perché non ho paura di affrontare il fatto che non siamo niente. siamo sogni intrappolati nel nostro spazio-tempo, nelle nostre infinite ed infinitamente piccole conoscenze.
perché se non si conosce o non si ha coscienza di una fine né di un principio, nulla può essere valutato in dimensioni o tempo.
l’umanità, la terra, l’universo, potrebbero anche non esistere in quanto solo bagliori, effimeri e repentini, all’interno di una storia che è infinitamente più grande… oppure… l’attimo in cui sto scrivendo potrebbe essere l’unica storia che davvero esiste o sia mai esistita nei secoli dei secoli.