Esistono dei momenti storici particolari in cui la maschera democratica dei governi può essere abbassata così da poter agire apertamente secondo la loro stessa natura che è quella di garantire un’oligarchia accettabile. Agire apertamente per un potere, come quello governativo, si riduce poi sempre a un unico scopo che è quello di avere più potere e più controllo.
Questi momenti storici particolari, cavalcati o creati appositamente con operazioni sotto falsa bandiera, permettono quindi al potere di attuare cambi di marcia importanti che non avrebbero potuto essere messi in pratica altrimenti.
La guerra è uno di quei momenti: con la scusa di difendere il cittadino dal nemico, si può facilmente allontanarlo dalla pretesa che i suoi diritti vengano rispettati e le sue libertà garantite. Però la guerra implica vincitori e perdenti, qualcuno alla fine deve passare per cattivo. Inoltre la guerra sta diventando sempre meno accettabile a meno che non avvenga in paesi dove abitano persone con la pelle un po’ più scura.
Lo stato di emergenza garantisce, invece, ai governi di attuare le stesse limitazioni di libertà della guerra senza molti dei problemi che essa implica. Tutti ne escono vincitori se la propaganda regge. Non occorre che qualcuno passi per cattivo, anzi, si può spendere la carta di un mondo globalizzato e unito. Inoltre non si ha la distruzione fisica delle strutture di produzione di beni e servizi ma solo una loro trasformazione che può appunto essere parte del piano di modificazione socio-economica che si vuole ottenere. Rimane un problema: la durata. Oggettivamente una emergenza deve finire e se non finisce può diventare poco credibile l’emergenza stessa o chi la sta gestendo: in entrambi i casi vengono meno le fondamenta su cui si regge l’accettabilità della stretta sulle libertà, l’accettabilità della trasformazione.
Come risolvere? Con lo stato di precauzione.
Ecco la soluzione: sancire non uno stato di guerra, non uno stato di emergenza, ma uno stato di precauzione o di prevenzione. In pratica uno stato di emergenza, con tutto ciò che questo comporta e permette in termini di accettazione della privazione di libertà e aumento del controllo, ma senza l’emergenza, lo si fa per prevenirla. In questo modo lo stato eccezionale e le sue conseguenze possono durare per sempre, nessuno può essersene colpevole o essere tacciato di incompetenza, anzi, questo diventa prova di un potere che sta evitando qualcosa di peggiore. Non esistono più neanche termini per stabilirne la fine. Come si fa a stabilire che è il momento di cessare uno stato di precauzione? L’emergenza si basa su dei numeri, per quanto possano essere veritieri o falsati. Lo stato di precauzione può basarsi sia sull’esistenza di quei numeri (dimostrano che occorre prevenire!) ma anche sulla loro assenza (dimostrano che la prevenzione funziona). Questo può significare la creazione di una nuova forma di stato, di organizzazione sociale, di mondo. E sta avvenendo sotto i nostri occhi.
Il matrimonio tra capitalismo e democrazia sta terminando ed occorre un nuovo paradigma, qualcosa che ancora non ha un nome, probabilmente lo avrà fra qualche secolo, se ancora saremo qui, come hanno avuto un nome le varie rivoluzioni sociali e strutturali del passato e che abbiamo imparato ad apprezzare grazie alla storia, cioè alla versione della verità scritta dagli stessi organismi che l’hanno prodotta.
Ogni grande trasformazione ha avuto una leva principale. Spesso è stata la religione, altre volte è stato il progresso, la patria, la libertà. Questa volta sarà la scienza. O quello che viene spacciato per scienza. Ovvero un paradigma non diverso da quello teocratico in cui esiste una verità incontrovertibile e gli esseri umani devono solo applicarla. Così come la religione, la scienza serve il potere, lo corrobora, lo investe di una autorevolezza intoccabile, ma solo perché composta da dogmi, non da verità.
In questo modo non c’è più spazio per la discussione, c’è solo un’evidenza che deve essere accettata, altrimenti non si ha voce in capitolo, così come devono essere accettate la sua interpretazione e le decisioni che ne derivano arrivando anche al capolavoro di trasformare la censura in una forma di tutela dell’informazione. Non solo non esiste più la responsabilità individuale, quella ormai è stata spazzata via da quando abbiamo accettato di avere dei padroni, ma non esiste più nemmeno la responsabilità del padrone perché questa è esternalizzata, evaporata, in quanto non è lui a decidere: sta solo attuando ciò che deriva da qualcosa di più alto e infallibile.
È qualcosa di epocale. Benvenuti nella Scientocrazia Tecnocratica.