Onesta sopraffazione



Mi drogo d’immagini.
Vedo due occhi non umani, due mani, serrare le membra d’un giullare davanti ad una folla nuda e festante.
Lo sbraitare è confuso, ma semantico, schematico, annichilisce la capacità di discriminare, rende apatiche le sinapsi, come un telespettatore navigato che conosce l’inutilità di qualsiasi zapping e si arrende alla cialtronata di turno. Se la beve d’un fiato. Passivamente.
Manca l’onestà. Quella difficile. Quella che in fondo significa darsi dello stronzo. Manca il terreno su cui coltivarla.
E mentre ponderi la cosa… boom! Ti viene addosso come un treno il pensiero che poi devi essere onesto con te stesso. Se arrivi a vedere la fine di questo treno, ne senti anche il peso, vagone per vagone.
Difficile non esserne sopraffatto.
Per quanto sputtanato tu possa essere con le altre persone, tu sei e sarai sempre l’unico a sapere tutto.
Però non c’è tempo per questo.
Ti trovi circondato da insetti fluorescenti che piovono come lapilli partoriti nella fucina di Efesto. Ti brucia anche solo vederli, ma non puoi far altro che domandarti se anche tu sei uno di loro, se anche tu bruci come gli altri e se l’incandescenza sia illuminazione, piuttosto che il veloce consumarsi tra atomi d’aria fredda.
Peccato non esista specchio adeguato a questo scopo. Tranne te stesso. Ma hai troppa paura per riflettere.