rapito di nuovo.
prima dai miei stessi sogni/incubi, deliranti, martorianti; poi messo sotto i riflettori, portato via dalle mie sacrosante e comode solitudine ed oscurità, posto sotto la luce accecante e dolorosa dell’esame, presentandomi senza speranze che rimarrebbero puntualmente disilluse.
come da copione insomma.
ero lì, silenzioso, seduto su un sedile di plastica arancione, nell’infinita attesa a cui quasi sto riuscendo a fare l’abitudine, stanno quasi riuscendo a farmi credere che sono davvero solo un numero… ed entra l’ennesimo paziente. una persona affetta da tetraplegia.
ho sempre pensato che la normalità non esiste, o che esiste per tutti nell’infinita diversità di ognuno, anche per chi sta su una sedia a rotelle, un gay, un extracomunitario, un politico, un barbone, un alieno… i problemi son problemi per tutti, non esistono paragoni. nessuno dà più o meno dignità o rispetto… ed io mi sono sempre comportato come sentivo, come sono, con tutti.
eppure entra questo tizio, spinto sulla sua sedia da un signore anziano e panciuto. mi guarda e biascica “buongiorno” con la normale difficoltà che incontra una persona nelle sue condizioni.
era circa il sesto buongiorno di cortesia che sentivo, durante l’attesa, dai vari personaggi entrati come persone e diventati all’improvviso pazienti da parcheggiare; il classico augurio senza troppo senso da dire quando si entra in una stanza piena di sconosciuti… a tutti ho risposto con un “’giorno” tra i denti, assonnato e spazientito.
ma il suo è stato qualcosa di differente… lui mi ha guardato dicendolo… ed io al mio buongiorno di risposta ho aggiunto un sorriso…
ma non volevo farlo sentire diverso.
prima dai miei stessi sogni/incubi, deliranti, martorianti; poi messo sotto i riflettori, portato via dalle mie sacrosante e comode solitudine ed oscurità, posto sotto la luce accecante e dolorosa dell’esame, presentandomi senza speranze che rimarrebbero puntualmente disilluse.
come da copione insomma.
ero lì, silenzioso, seduto su un sedile di plastica arancione, nell’infinita attesa a cui quasi sto riuscendo a fare l’abitudine, stanno quasi riuscendo a farmi credere che sono davvero solo un numero… ed entra l’ennesimo paziente. una persona affetta da tetraplegia.
ho sempre pensato che la normalità non esiste, o che esiste per tutti nell’infinita diversità di ognuno, anche per chi sta su una sedia a rotelle, un gay, un extracomunitario, un politico, un barbone, un alieno… i problemi son problemi per tutti, non esistono paragoni. nessuno dà più o meno dignità o rispetto… ed io mi sono sempre comportato come sentivo, come sono, con tutti.
eppure entra questo tizio, spinto sulla sua sedia da un signore anziano e panciuto. mi guarda e biascica “buongiorno” con la normale difficoltà che incontra una persona nelle sue condizioni.
era circa il sesto buongiorno di cortesia che sentivo, durante l’attesa, dai vari personaggi entrati come persone e diventati all’improvviso pazienti da parcheggiare; il classico augurio senza troppo senso da dire quando si entra in una stanza piena di sconosciuti… a tutti ho risposto con un “’giorno” tra i denti, assonnato e spazientito.
ma il suo è stato qualcosa di differente… lui mi ha guardato dicendolo… ed io al mio buongiorno di risposta ho aggiunto un sorriso…
ma non volevo farlo sentire diverso.