Ma chi è che vorrebbe il disordine sociale? Gli anarchici? Così come dicono tendenziosamente i dizionari col marchio Siae? Ma riflettiamo! A che pro’? A chi giova davvero il disordine, il crimine, la violenza, cioè le cose orribili a cui assistiamo quotidianamente con lo stato, se non proprio allo stato, per farsi passare come deus ex machina?
Senza poi parlare del fatto che lo stato stesso, in se stesso, è violenza! E’ esercizio della violenza espressa al suo massimo immaginato, e anche oltre ciò che una mente sana possa immaginare.
Può mai esistere un male più atroce della guerra tra nazioni dove vengono ammazzati milioni di persone, bambini compresi, spesso pure usati come soldati? La guerra è legale, è roba di stato, è lo stato, al di là delle sue ‘belle parole’ stampate!
Può mai esistere qualcosa di più abominevole dello sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo? E lo sfruttamento di ogni altra cosa che vive e che non vive?
Ma come si può immaginare che l’anarchia sia il corrispettivo di disordine se viviamo quotidianamente con l’esempio più eclatante di disordine e violenza inaudita dovuta a una struttura sociale fondata sulla coercizione e un ordinamento giudiziario punitivo-ricattatorio?
Eppure c’è gente che crede ancora che lo stato sia la soluzione dei problemi, e non la vera causa, e che l’anarchia porti al disordine, e non invece alla libera associazione tra individui eguali nei diritti che obbediscono soltanto alla loro umana coscienza, non più viziata, finalmente, dalla cultura attuale competitiva e disumana.
L’errore è dovuto anche al fatto che non esiste in questa società statuale una buona diffusione del pensiero anarchico, lo stato cassa i filosofi anarchici, ancorché eminentissimi, semmai accusa sempre l’anarchia di disordine, per cui la gente pensa davvero, ancora oggi, come nei tempi remoti, che lo stato sia un padre benevolo che risolve tutti i problemi, mentre invece li crea, o per meglio dire, che li fa creare ai suoi stessi sostenitori, ingenui e ignari nel migliore dei casi.
Cloud’s Walden
fonte: http://anarchistintheworld.altervista.org/1124-2/