La strana etica del veganismo



Recentemente, confrontandomi con una persona, questa si è voluta sincerare che il mio essere vegano derivasse da una scelta etica, non di altra natura. Ovvero che io avessi scelto di alimentarmi facendo a meno di “prodotti” animali solo per una questione puramente morale.
La questione del perché si sceglie di diventare vegani è di per sé interessante, ma questa volta lo è stata di più perché, per la prima volta, a sottopormela non era un vegano ma un onnivoro e per una motivazione del tutto inaspettata.

La mia risposta è stata che ho scelto di smettere di mangiare animali per una questione puramente morale. Poi ovvio che ci possono essere anche benefici dal punto di vista della salute e, non di meno, anche per quanto riguarda l’impatto ambientale.
“Ma quindi è una questione etica”, ha chiesto di nuovo l’interlocutore per essere certo. Voleva una risposta secca.
Quando gliel’ho confermato, ho capito il vero motivo dietro quella domanda e, nonostante sia vegano da circa dieci anni e mi sia confrontato in merito innumerevoli volte, sono rimasto stupito perché sul suo volto si è dipinta un’espressione rilassata, quasi confortata. Determinare se la mia fosse “solo” una scelta etica, aveva chiuso una specie di pratica, poi protocollata e pronta per l’archiviazione; ovvero: è una scelta etica, quindi opinabile, su cui abbiamo posizioni differenti che non devono necessariamente convergere, anzi, per definizione l’etica è estremamente soggettiva. In pratica, che il veganismo fosse una mia scelta etica, era improvvisamente il sigillo che ne sanciva l’irrilevanza, proprio perché di natura soggettiva, non oggettiva, come fosse la preferenza per un colore o una squadra di calcio.
Sono stato sinceramente preso in contropiede.

L’etica non è come scegliere quale sia la tua bibita preferita. L’etica è qualcosa che dovrebbe continuamente spingerci a chiederci cosa sia giusto e sbagliato, cosa siamo disposti a fare e non fare in base alla nostra morale. È e rimarrà sempre qualcosa di soggettivo, ma il confronto e la valutazione dei nostri principi etici rispetto quelli altrui è alla base della negoziazione sociale che determina in che tipo di mondo viviamo, e questo a prescindere da leggi o precetti religiosi. Il dibattito non può fermarsi al constatare una differente etica e comodamente archiviare il tutto. Bisogna per lo meno spingersi a porci delle domande e sfidare i nostri principi.

Ma al di là di questo, nello specifico caso del veganismo, non possiamo nemmeno parlare di etiche differenti, bensì di ipocrisie culturali generate da abitudini, preconcetti e dogmi. Questo perché, a meno che non ci troviamo davanti a uno psicopatico, chiunque eviterebbe di causare dolore fisico o la morte di un individuo, che sia una persona o un animale. Chiunque. Chiunque posto nella condizione di scegliere se nuocere o non nuocere, sceglierebbe di non farlo. Ad esempio, chiunque con una vettura investisse volontariamente un riccio sulla strada, avendo la possibilità di evitarlo, non sarebbe giudicato come qualcuno con un’etica diversa, ma senza etica.

La cultura in cui viviamo, il suo sistema di credenze e regole sociali però nasconde questa ovvietà e, se si parla di alimentazione, magicamente lo stesso ovvio e condiviso principio descritto poco sopra, ovvero quello di evitare di uccidere un animale quando possibile, diventa invece una scelta estrema, strana, opzionabile, non condivisibile se non da ridicolizzare. E si va ben oltre, perché non solo quel principio viene spento, ma si giustifica anche un abuso attivo e costante degli animali, forzati a riprodursi generazione dopo generazione in luoghi come fabbriche che non hanno nulla a che fare con la loro natura e i loro bisogni psico-fisici. Quindi, il paragone di poco prima di qualcuno che non evita un riccio sulla strada e lo schiaccia, non basta a rendere l’idea di quello che succede nella realtà dei fatti: un paragone più calzante vedrebbe quel qualcuno sterzare volontariamente per uccidere il riccio e anche attivarsi in sistemi organizzati affinché ci siano sempre tanti ricci sulla strada e magari legati a un palo affinché sia facile schiacciarli.

In realtà, quindi, la scelta vegana è semplicemente applicare anche a tavola la stessa etica che ha già la maggior parte delle persone. Per smettere di segregare e uccidere animali perciò non è necessario alcuno sforzo, né lo sviluppo di un’etica diversa, si tratta piuttosto di liberarsi mentalmente dalle ipocrisie culturali in cui tutti siamo immersi fino al midollo e che ci fanno comportare in maniera contraria alla nostra stessa morale. Il veganismo dà fastidio non perché rappresenta una strada estrema, assurda, faticosa e illogica. Dà fastidio perché si tratta di agire secondo un principio che tutti sentiamo dentro allo stesso modo, onnivori compresi, e questo mette in luce una tremenda e colpevole ipocrisia con cui spesso non si vuole fare i conti.