A volte ho degli attimi di pura lucidità. Alcuni la chiamano depressione.
In quegli attimi riesco a scorgere la pelle sotto i vestiti. Lo scheletro dietro la pelle.
Il bianco delle ossa ci accomuna tutti, a prescindere dalle smorfie, serie o buffe, con cui possiamo cercare di agghindarle.
Dentro a quelle ossa c’è un peccato. Il peccato originale, direi, correndo volentieri il rischio d’essere blasfemo. Il peccato di non essere più innamorati.
Se dobbiamo fingere di essere umani, di non essere un semplice conato di vomito della natura che si prende troppo sul serio, dovremmo perlomeno avere il coraggio di innamorarci.
Che c’entra il coraggio con l’amore?
C’entra. Perché non parlo di amore platonico. Parlo di un amore carnale. Che genera prole. Un atto fisico. Che dà un lascito. No, non è l’amore per un altro essere umano. Non è avere figli. Parlo dell’amore per le cose. Passione.
E che c’entra il sesso? Il coraggio?
Qui sta il problema.
Talmente siamo spaventati e annichiliti e repressi che non sappiamo più amare carnalmente le nostre passioni, sempre se siamo abbastanza fortunati da averne una.
Copulare con la passione, coscienti di creare una progenie lasciando una parte di sé in un coito che non è mai gratis. Ci vuole coraggio. A farlo con coscienza. Metodo. Onestà.
È facile fingere che non sia importante. È facile trasformare sempre tutto in una costante pacca sulla spalla. Seppellire tutto con una risata.
Come ci fosse un’altra vita, poi.
Come se la bruttura del mondo non fosse anche colpa di questa nostra superficialità.
Come se gli specchi potessero non essere onesti.
Mi consolo nella mia solitudine. Una solitudine che non ha eguali. Torno a parlare con me, come parlerei al mondo. Attingendo ad infiniti colori che porrò su una tela per me, per il mio occhio, per il mio coraggio, per il mio innamoramento. Per nient’altro. Per nessun altro.
E trovo pace, sono serenamente sincero, nel pensiero che un giorno saremo tutti morti. Inesistenti. Non nel bene o nel male, ma nella bellezza o nella bruttezza, di tutti i gesti che abbiamo regalato o negato all’esistenza.