Mi fanno impazzire quelli che “il terrorismo è solo dei musulmani”…
Non sono certo qui a difendere l’Islam. Per quanto mi riguarda la violenza, in generale, è frutto dell’intolleranza e, nonostante le piccole (e rare) eccezioni che si trovano qua e la nei testi e nelle parole dei profeti delle varie fedi, inneggianti alla coesistenza e fratellanza, tutte le religioni dogmatiche sono intrinsecamente intolleranti poiché ognuna fonda le sue basi sul declamarsi portatrice dell’unica verità assoluta, che necessariamente si basa a sua volta sulla negazione incondizionata di tutte le altre. Un assolutismo ideologico non negoziabile, non prescindibile. Non credo possa esistere una forma di intolleranza più definitiva e onnicomprensiva di questa.
La tolleranza e la convivenza tra diverse religioni è di per sé un ossimoro, possibile solo grazie al fatto che, fortunatamente, nel vivere quotidiano si palesa inevitabilmente la dicotomia religione-società civile e, nello scontro tra queste, la società civile ha di solito la meglio con la conseguenza che i precetti religiosi si edulcorano, si affievoliscono (se non addirittura si dimenticano)rendendo possibile la convivenza. Quando questo non succede si ha appunto intolleranza, violenza e terrorismo.
Finita questa premessa, la frase “il terrorismo è solo dei musulmani” non solo mostra il comodo digiuno storico/culturale sul terrorismo cristiano e di altre fedi (si veda ad esempio http://goo.gl/aiAv8w), ma mostra anche una falla logica colossale.
Ovviamente gli atti di violenza che vengono perpetrati in nome della “nostra” religione, quando ammessi, sono archiviati come esclusive azioni di frange distinte e insignificanti che non rappresentano la religione in sé. Mentre avviene l’esatto contrario per le altre religioni: qualsiasi atto di violenza in nome di un dio che non sia “il nostro”, viene fatto passare come rappresentate della mentalità di tutti i fedeli di quella religione.
Qui però si va oltre la religione, la questione diventa logica: è un po’ come quelli che dicono “ah non capisco perché i neri scendono in piazza per mostrare il loro orgoglio di essere tali, io mica faccio questa manfrina perché sono bianco”, ignorando completamente le motivazioni storiche e sociali implicate e, logicamente parlando, la frase ha lo stesso valore della seguente: “non capisco i disoccupati che manifestano in piazza, io il lavoro ce l’ho e non faccio mica tutto ‘sto casino”.
Posto che ogni forma di violenza va condannata, è ovvio che chi subisce è più portato a formare resistenze, anche violente, alla sua sottomissione. Chi comanda non ha ovviamente alcuno stimolo in questo senso perché già detiene il potere che gli serve e se diamo una rapida occhiata alla situazione geopolitica attuale, si vede bene chi “terrorizza” e perché. La religione c’entra ben poco! Quindi le ragioni di un possibile proliferare di atti violenti in alcuni territori, andrebbero analizzati sotto una lente ben diversa e sicuramente più autocritica.
Ignorare tutto questo potrebbe sembrare il risultato di una mancanza culturale, ed in parte è sicuramente vero, ma questa potrebbe essere riempita e resa ininfluente se il vero problema non risiedesse in realtà nella totale mancanza di empatia, incapacità di capire (capire, non necessariamente condividere) le motivazioni altrui generate da una situazione socio/culturale completamente diversa da quella in cui siamo abituati a vivere.
Sommando a questo l’incapacità di mettersi in discussione e il bisogno di identificare nell’altro il pericolo, il nemico, abbiamo il mix perfetto per la creazione di un terreno fertile alla manipolazione sociale e la concretizzazione del famoso Divide Et Impera.
Senza contare il proficuo sfruttare attentati per giustificare guerre da parte di chi, dalle guerre, ci guadagna da sempre e per ciò indagare seriamente su chi effettivamente armi la mano del terrorista di turno, dovremmo anche e soprattutto sforzarci di andare al di là delle etichette che i potenti ci offrono, indagare profondamente su noi stessi e sulle culture diverse dalla nostra, cos’hanno subito nei secoli, quali sono le implicazioni, cosa faremmo al posto loro, che considerazione avremmo di noi stessi nei loro panni…
L’empatia sarebbe il ponte per qualsiasi vera operazione di pace e sarebbe la perfetta arma di costruzione di massa di cui abbiamo bisogno.