Nella Bibbia, più e più volte dio si pente di ciò che ha fatto, prova delusione e cambia idea. Questo è un fatto.
Allora, come può esistere l’idea di Dio come essere onnipotente, onnisciente e perfetto?
Tutto sta nel motivo per cui esiste la Bibbia in primo luogo. Capito questo è facile dare una risposta.
Infatti, se pensiamo alla Bibbia come a un testo ispirato da dio che racconta una verità storica, chiaramente, non solo siamo completamente fuori strada, ma non riusciamo a rispondere nemmeno alle domande più semplici riguardo alle implicazioni sull’esistenza di questo testo.
Se invece pensiamo alla Bibbia per quello che è, cioè un insieme di testi disomogenei scritti da uomini nel corso di migliaia di anni, con l’unico scopo di creare un mito che, tra le altre cose, controllasse le masse, senza una reale connessione con qualsivoglia sfera spirituale (qualsiasi cosa questo voglia dire), allora capiamo che durante i millenni in cui il mito venne inventato e messo per iscritto, per coloro che lo inventarono, non era affatto un problema descrivere un dio che aveva ripensamenti, che sbagliava e che era anche violento, geloso, un essere che secondo l’odierna morale comune farebbe finire chiunque, come minimo, sulla sedia elettrica. Per queste persone non era un problema perché, nella loro epoca, secondo la loro cultura, occorreva quel tipo di dio, quel tipo di narrazione, quel tipo di mito.
Successivamente, con il tempo è cambiata anche la base culturale dominante e la Bibbia è stata esportata anche in luoghi in cui le basi culturali erano diverse. In questi tempi e luoghi diversi, con basi culturali diverse, occorreva un mito diverso, un dio diverso, perché il dio erroneo e rancoroso semplicemente non funzionava. Serviva un dio onnisciente, onnipotente e perfetto.
Visto che in pochi sapevano leggere e per chi sapeva leggere c’era il divieto di leggere la Bibbia, non c’è stato nemmeno bisogno di riscrivere nulla, è bastato propagandare lo stesso testo diversamente, descrivendo il mito e il dio che occorreva in quel momento a prescindere da quello che veramente c’era scritto nei testi. Quando tutti sono stati in grado leggere la Bibbia, poi, il mito era così ben radicato che quanto scritto nei testi era semplicemente ininfluente. Conta cosa credi ci sia scritto, non cosa ci sia scritto davvero.
Quindi, con il passare del tempo, la cultura ha necessitato si cambiassero le caratteristiche con cui si immagina il divino, ma il marketing clericale è riuscito a far sì che non ci fosse un abbandono della fede in quanto questa rappresentava un dio non più adatto, riuscendo invece a riciclare lo stesso dio, senza perdere consensi. Perché, alla fine, è più importante sentirsi coccolati da questo mito piuttosto che rifiutarlo anche quando, evidentemente, si fonda su basi morali che si spera non abbia nemmeno l’uscere del nostro palazzo, figuriamoci essere espressione del proprio dio.
Se questo può, seppur amaramente, suonare banale che sia successo in tempi antichi, quando il volgo era facilmente raggirabile da preti, stregoni e maghi Otelma di turno, purtroppo oggi vediamo gli stessi identici meccanismi e non solo nel cittadino comune: vediamo addirittura dei movimenti sociali come il veganismo cristiano o il femminismo cristiano o l’anarchismo cristiano. Movimenti che non fanno nulla di diverso da quanto descritto finora perché, alla stessa stregua, la base della loro fede è un dio che non ha problemi a ordinare sacrifici animali, a considerare le donne come esseri dipendenti dall’uomo o sostenere la schiavitù, l’usura, eserciti e imperialismo, tutti ingredienti che, superfluo dirlo, dovrebbero essere aborriti anche dal più sprovveduto degli esseri umani, figuriamoci da movimenti socio-politici che si impegnano a capire e cambiare le cose in senso opposto.
Quindi, di nuovo, non si usano i propri principi e la propria etica per comprendere quanto siano fuori luogo, bassi, immorali e irrealistici i contenuti dei cosiddetti testi sacri, ma si preferisce darne una nuova lettura, a prescindere da quello che effettivamente è scritto in quegli stessi testi, tutto pur di tenere stretto il mito, la consolazione che ne deriva, il continuare a far parte di un gruppo e non contestare una tradizione. Il fatto che questo accada oggi, e soprattutto nell’ambito di movimenti che dovrebbero basarsi sulla critica sociale, dà uno spaccato abbastanza triste di come certe persone considerino e abbraccino certi principi, non solo come singoli ma anche come gruppi e movimenti sociali. Più che un percorso che sfidi le proprie convinzioni in modo da averne sempre di migliori e, in base a quanto si è capito in questo percorso, modificare le proprie azioni affinché rispecchino quelle convinzioni e principi il più possibile, pare esserci una tendenza opposta, ovvero: non si mette mai in discussione il proprio pensiero e l’etica viene plasmata sulle azioni che già si è abituati a compiere, cercando disperatamente la retorica adatta per far rientrare tutto in ciò che ci fa stare più comodi.