I beni ed i servizi che in questo mondo quasi nessuno è più in grado di procurarsi autonomamente si ottengono attraverso il denaro. Una società basata sull’economia porta le persone a non essere abili in quella che sarebbe la loro naturale attitudine a procurarsi da vivere. Anche perché da un lato i territori liberi e naturali vengono resi “produttivi” (e di proprietà), dall’altro sin da subito tutto quello che ti serve te lo fornisce qualche impresa tramite un banale supermercato. Ha senso dato che diversamente, immaginandomi uno scenario dove non esiste mentalità produttivistica, dove le persone sono in grado di vivere autonomamente senza un mercato e senza delle merci, interessate a vivere in armonia con i propri bisogni ed i propri istinti e a ridurre al minimo le necessità.. sarebbe la morte dell’economia. Difatti.. quando mai hai potuto imparare ad essere autonomo?
Il denaro viene emesso da degli istituti pubblici gestiti principalmente da privati che, senza entrare nelle sottodivisioni del meccanismo e semplificando molto al fine della comprensione, generano debito poiché chiedono indietro lo stesso denaro che emettono con tanto di interessi (che ovviamente, fino a nuove emissioni, non esistono fisicamente). In altre parole, non è matematicamente possibile che tutti riescano a ripagare gli interessi.
Sembra quasi una falla, un bug del sistema, no? Solo che non sono cose che capitano per errore, sono la regola. Così come non è un errore la povertà. In più la ricchezza è enormemente concentrata: praticamente le persone contenibili all’interno di un aereo di linea possiedono più ricchezze delle popolazioni dell’India, della Cina, degli USA e del Brasile sommate. Verrebbe da pensare quindi che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nel modo in cui applichiamo l’economia. Sbagliato. L’economia, che sia capitalistica/collettivistica/della decrescita/della felicità, rimane l’ideologia che mira a stabilire regole e modalità di gestione utili al miglior sfruttamento della Terra [e degli altri animali] in funzione del dominio umano. Con tutto ciò che ne deriva a livello di dinamiche anche per l’essere umano, visto che ad ogni modo rimane fatto per vivere secondo altri bisogni ed in altri contesti.
Dall’esistenza dell’economia derivano cioè conseguenze inevitabili, perché..
Quello stesso denaro lo si ottiene lavorando. Questo significa vendere il proprio tempo, che spesso diventa vendere la maggior parte del tempo della propria vita (considerando che poi quello libero diventa tale indirettamente in funzione di ciò che le dinamiche di lavoro dettano), in cambio della sopravvivenza. Bisogna quindi cercare l’occupazione, o meglio, la piena occupazione. Si, perché non importa quali siano i bisogni reali dell’essere umano e di come siano connessi al resto, importa solo creare e trovare occupazione. Ovvero, anziché cercare di liberare l’uomo il più possibile dal lavoro si cerca di imporlo come dogma anche quando è per alimentare attività completamente inutili (o, più spesso, nocive) per l’essere umano e per il contesto in cui vive. Lavoro a prescindere dai bisogni e dalle conseguenze.
Quindi tutti devono cercare un lavoro e, in maniera diretta o indiretta, finiscono a competere tra loro.
Il lavoro non solo viene trasformato in risorsa, ma in risorsa scarsa in relazione ai contendenti. Si compete per trovare il lavoro (perché mica sei solo obbligato, devi anche trovarlo in quanto non garantito) e poi per guadagnare soldi e conservare il posto. Quindi neanche ci sono il tempo e le energie per fermarsi a pensare se questo è il modo in cui dovremmo vivere, che connessione c’è tra noi e gli altri animali, se è l’economia a lavorare per noi o se siamo noi a sgobbare a ritmi sempre maggiori per tenerla in piedi. D’altronde l’economia è una “scienza” che educa proprio a questo: la natura non è altro che una risorsa; i rapporti tra essere umani devono essere regolati attraverso produzione, scambi e consumo di beni/servizi (questo non si può mettere in dubbio, nonostante la nostra sia l’unica specie a comportarsi così). In altre parole, educa all’antropocentrismo.
Un continuo correre sempre più in fretta verso non si sa nemmeno dove: produrre di più, consumare di più.. pensare e sentire di meno.
Bisogna crescere. L’economia deve crescere. Non importa se a “crescere” sono l’1% degli individui. Non importa nemmeno se poi questo accade quando si abbattono più alberi, quando si ammalano più persone, quando si combattono più guerre. L’imperativo è crescere e stona anche con la definizione teorica più classica dell’economia quando dice che consiste, tra le altre cose, nella gestione intelligente delle risorse. Lasciando un attimo da parte il fatto che per l’economia tutto sia una risorsa, come si fa a gestire queste risorse in modo intelligente se qualsiasi realtà mi circondi mi vuole convincere a consumare di più (per poter produrre di più) a prescindere dai bisogni reali, dai cicli naturali, da cosa è necessario fare nel processo di produzione, etc.
Vivere quantificando tutto a numeri ci rende irresponsabili: sappiamo solo intuire il valore di qualcosa secondo dei parametri economici anziché in base a ciò che è necessario fare per produrlo. In fin dei conti interagiamo con quel processo di produzione in maniera indiretta perché l’unica cosa che facciamo è dare quei soldi che abbiamo guadagnato col nostro lavoro (che non ha niente a che vedere con ciò che compriamo), perdendo ogni contatto diretto con quel bisogno che facciamo risolvere a qualcun altro. Per questo la sola esistenza della moneta cambia totalmente il nostro paradigma mentale per quanto riguarda il rapportarci agli altri, al resto dell’esistente.
Un’altra cosa che l’economia ci fa dare per scontato e normale è che il successo di qualcuno corrisponde alla sconfitta di qualcun altro.Eh si, perché ogni volta che c’è un’interazione economica i soggetti si affrontano con interessi antagonisti ed ognuno tende a massimizzare il proprio tornaconto a spese degli altri. Siamo continuamente, da quando nasciamo a quando moriamo, inseriti in contesti che ci portano ad essere competitivi. Lo fanno nel senso che non essere competitivi ti porta svantaggi e difficoltà in un mondo competitivo. Lo fanno anche nel senso che gli atteggiamenti antisociali e che vanno a discapito di altri vengono non solo ammessi ma premiati. Esattamente: in una società basata sulla gerarchia e sul potere le persone portate ad avere successo sono tendenzialmente quelle più “psicopatiche”, che meno sentono le emozioni e le sofferenze altrui. Infatti si può vedere come il fenomeno dei “corporate psychopath” sia una realtà. In altre parole, più si è disposti ad agire senza scrupoli più si viene premiati.
Come disse P.J Proudhon, il commercio non è altro che “l’arte d’acquistare a 3 franchi ciò che ne vale 6 e di vendere a 6 franchi ciò che ne vale 3. Ovvero: operare per fregare gli altri, di regola.
Questo crea una spirale di “negatività”, nel senso che (come dimostrano la logica e gli esperimenti di psicologia sociale) più una persona possiede denaro, meno è portata ad avere compassione ed empatia. Più si è ricchi, più si giustificano l’interesse egoistico e si percepisce senso di merito. Merito che però non ha senso d’esistere, visto che i fattori che hanno influito sullo status di ricchezza di una qualsiasi persona nel mondo sono più dati dal caso che da fattori di merito (merito che, in ogni caso, rimarrebbe nel riuscire ad agire egoisticamente senza tenere conto di ciò che si causa agli altri). Dunque la ricchezza crea divisioni e categorie.
Quindi concludendo: sbagliato il capitalismo, sbagliata la moneta a debito emessa ad interessi.. ma soprattutto sbagliate tutte le fondamenta sulle quali poggia qualsiasi tipo di economia.
Il risultato sono individui che vivono in un contesto totalmente avverso (nonostante ci si abituino), a cui viene tolta la maggior parte della loro vita per un’attività lavorativa, in competizione gli uni con gli altri, disposti a fare di tutto anche se è a discapito degli altri, spesso (per via della struttura del contesto) senza nemmeno rendersene conto.
A questo punto, una volta normalizzata tutta questa serie di cose alla base, sono normali anche gli effetti “collaterali”. D’altronde ognuno c’ha i suoi problemi, no? I genocidi,i crack finanziari, la fame nel mondo.. diventano accettabili. Più accettabili di quanto non lo sia un episodio di microcriminalità nel proprio paesino. L’economia normalizza in toto la violenza.
Ehm, a volerla dire tutta, anche episodi più “vicini” diventano normalizzati. Quindi quando qualcuno si suicida perché ha perso tutto, quando a qualcuno viene pignorata la casa per via di un debito che in una maniera o nell’altra colpisce per forza qualcuno, quando a qualcuno per ragioni simili rimane nulla… pensiamo che sono tragedie che possono capitare, purtroppo.
Quello che forse non capiamo è che non sono effetti collaterali ma eventi regolari che avvengono ogni momento. E certamente, non smetteranno di accadere finché daremo credito ad un paradigma che si basa sull’economia.
“Si può essere sfortunati se si muore in guerra, ma tale sfortuna continuerà a colpire qualcuno fin tanto che ci sarà la guerra!”
da Mosca Bianca