Io non sono un medico, non sono un virologo e nemmeno uno scienziato.
A chi interessa saperlo, però, ho studiato linguaggio visivo, teoria dei mass media e marketing. Sono anche un informatico, analista di basi di dati e programmatore. Questo significa che ho una certa competenza riguardo la comunicazione in generale da una parte e dall’altra anche riguardo l’analisi e comprensione dei dati, la loro correlazione, interpretazione, e infine anche l’analisi di problemi complessi attraverso la logica e l’algoritmo. Oltre a questo, sono un grande appassionato di antropologia e psicologia sociale.
Io però non credo serva alcuna competenza specifica per leggere la situazione attuale, almeno nei suoi aspetti più evidenti, esattamente come non serve essere un meteorologo per capire se è il caso di aprire un ombrello, ma comunque queste mie competenze sono sicuramente un aiuto in più.
Eppure, giuro che non mi sarebbe mai servita la mia competenza in comunicazione per capire che se un farmaco arriva per la prima volta in un paese scortato dalla polizia con dei furgoni adatti al trasporto di materiali speciali al fine di mantenerlo sotto gli -80°, mentre poi qualche mese dopo quello stesso farmaco viene somministrato per strada o agli open bar come fosse uno spritz, dietro c’è stata un’operazione di marketing, non sanitaria.
Non mi serve la competenza logica in database relazionali e analisi algoritmica per capire che, se non c’è alcuna prova che l’assunzione di farmaco protegga gli altri da qualcosa (anzi, le prove dicono il contrario), non si può pensare sia normale e auspicabile che quel farmaco venga reso obbligatorio o che delle limitazioni personali possano colpire chi sceglie liberamente di non sottoporsi a quella terapia. Per lo stesso motivo, al fine di contrastare i contagi, non si può ritenere valida l’istituzione di un pass che sancisce unicamente che una persona ha assunto un farmaco e non che non è contagiosa. Se tutto questo invece avviene, non può essere la conseguenza logica di un ragionamento basato su ciò che serve davvero. Lo scopo deve essere un altro.
Non serve nessuna competenza per vedere che c’è qualcosa che non torna se prima zittiscono tutti dicendo che le varianti di un virus non sono un problema per l’efficacia di un farmaco ma poi nonostante uno abbia assunto il farmaco questi risulta positivo comunque; oppure se molti dati mostrano che i contagi avvengono dentro le mura domestiche e che chi intasa gli ospedali sono perlopiù anziani, ma come unica contromisura si propone di rinchiudere in casa tutti e somministrare una cura sperimentale a tutti; oppure se fanno passare una variante coi sintomi di un raffreddore come fosse l’apocalisse; oppure se usano la parola “infetto” per un positivo e “immunizzato” per un vaccinato quando un positivo non è detto sia infetto né è detto che un vaccinato sia immunizzato.
Eppure, siamo qui oggi a constatare quanto la propaganda possa veramente affossare il più banale dei ragionamenti, come le parole possano essere usate come bacchette magiche, immersi fino alla gola in una guerra mediatica delle più basse. Sono riusciti a far passare un farmaco che non protegge gli altri come il santo Graal dell’altruismo e del sacrificio per la collettività; sono riusciti a far accettare l’idea di essere ancora più controllati col ricatto di togliere delle libertà se non si ottempera ma con l’ipocrisia di chiamarlo incentivo; sono riusciti a far inoculare a milioni di persone nel mondo e in breve tempo un farmaco di cui non si conoscono gli effetti a lungo termine; sono riusciti a far rientrare nel programma di inoculazione anche i giovani e giovanissimi, quelli che sicuramente rischiavano meno, sempre dietro la falsa bandiera dell’immunità di gregge che è solo una teoria peraltro smentita dai numeri che abbiamo sotto gli occhi in questo sesso momento; sono riusciti a sbagliare tutte le previsioni, cambiare metodi di raccolta dati in corso d’opera, presentarvi dati identici di due momenti storici diversi descrivendoli uno come tragedia e l’altro come il paradiso e nel contempo rimanere credibili; sono riusciti a far passare per dovere del buon cittadino la delazione e per scienza la censura delle opinioni di medici non allineati alla narrazione; sono riusciti a far considerare un pass sinonimo di libertà, lo ripeto, pass = libertà, e questo forse davvero rappresenta davvero l’apice della dissonanza cognitiva in cui siamo immersi.
Un’operazione di marketing veramente bassa, sia moralmente che qualitativamente. Sembra un paradosso, ma quando il marketing e la propaganda si fondono, generano dei mostri orrendi che non hanno bisogno di essere credibili perché la loro opera di convincimento si basa sulla paura e, ancora più paradossalmente, su quanto è grossa la bugia che si sta raccontando.
Lo stesso Hitler pare avesse detto: “Più grande la menzogna, più grandi le probabilità che venga creduta”. E anche Goering disse “Che abbia voce o no, il popolo può essere sempre assoggettato al volere dei potenti. È facile. Basta dirgli che sta per essere attaccato e accusare i pacifisti di essere privi di spirito patriottico e di voler esporre il proprio paese al pericolo. Funziona sempre, in qualsiasi paese.”
Basta solo cambiare qualche ingrediente.
“Ah, ma quindi sei uno di quelli che crede che non esiste alcun virus, che hanno inventato i morti e che paragona il green pass al nazismo?!!!?!1111!!”
Se vi fa comodo pensarlo, pensatelo, sarà solo l’ennesima scusa per tenersi saldi alla propaganda e non ammettere l’esistenza di un problema. Si chiama “razionalizzazione” in psicologia sociale.
A me, a differenza di molti altri, non interessa “passare per quello che”. Io esercito la mia libertà di pensiero e non sono responsabile delle cose che non dico e non penso, ma soprattutto sento invece la responsabilità di non essere complice del silenzio vocale e mentale verso il quale molti sono spinti (anche se li comprendo) a causa dell’esacerbazione del conflitto sociale e della creazione artificiosa di fazioni e ideologie che servono al potere. È facile porsi dei dubbi e cambiare idea quando ogni opinione è autonoma e non c’è esasperazione delle posizioni. Quando invece si crea artificialmente un contesto in cui se pensi A automaticamente devi pensare anche B, C, e D, allora sarà molto difficile anche cambiare idea solo su A perché dovrai fare i conti con tutto il costrutto artificiale che lega tutte le opinioni nel frame in cui sei stato assegnato dal recinto mediatico.
Io non pensavo saremmo arrivati a una situazione come quella attuale. Siamo oltre il grottesco. Ed è penoso e raggelante vedere persone abbindolate da una narrazione solida quanto una televendita di Mastrota, quanto un Salvini che passa da “Italia merda” a “prima l’Italia”, non solo non avere alcun dubbio, ma avere persino la sicumera autoritaria e vessatoria di ritenersi dalla parte della verità e della scienza. Ancora più paradossale quando queste si dicono di sinistra, libertarie o persino anarchiche, persone per le quali è bastato cambiare due paroline e si sono ritrovate a difendere la combo stato-multinazionali come fossero due amici d’infanzia.
Credo che questo momento storico possa riscrivere il lavoro di molti scienziati e studiosi in genere, per citarne uno a caso: Pavlov, lo scienziato che ha scoperto il “riflesso condizionato”. Pavlov aveva fatto in modo che dei cani associassero la presenza di cibo al suono di una campanella, al punto che al solo suonare una campanella questi iniziavano a sbavare come se fossero davanti al cibo. Ma il cibo non c’era. Noi non siamo cani, siamo umani e abbiamo un impianto culturale molto più complesso. Questo non ci aiuta, anzi, la cultura è una base ancora migliore per costruirvi sopra associazioni inesistenti tra fatti e ideologie, a costruire condizionamenti molto più complessi e difficili da distruggere che servono ad ottenere dei precisi comportamenti. Se immaginiamo che la ciotola col cibo sia uscire dalla pandemia, vi lascio immaginare cosa sia la campanella.