Prendo tutta la forza rimasta e la metto sotto i raggi X. Devo capire. Capirmi. Quanto tempo mi resta? Perché dev’essere sempre attesa? È sempre un’attesa.
Piano, più piano che posso, mi suggerisco di vedermi diverso, di provare a vedere le mie forze non come l’atto coraggioso di un caparbio idealista, ma come gli ultimi gemiti di un debole agonizzante. Tu non vuoi salvare nessuno, tu non vuoi cambiare il mondo: hai solo paura di affogare. Anzi no, hai paura di ammettere che non puoi fare altro che affogare.
Ci provo sempre a vedermi capovolto. L’unico modo di capire un quadro astratto e anonimo è continuare a voltarlo per inchiodarlo poi dal verso che ha più senso. Voi direte: “tu non sei anonimo”. Sì. Tutti lo siamo. Perché sono le nostre idee a parlare e noi non siamo le nostre idee. Le nostre idee non sono noi. Sono esseri viventi che abitano le nostre teste. Coabitando silenziosamente con il nostro io, a volte. Altre volte, invece, instaurando una feroce dittatura.
Al contrario ora allento quella morsa che ridicolmente pretendo di stringere su me stesso, la vita. Almeno la potessi scambiare con una risata. Ma non fa ridere. Non ha mai fatto ridere. Eccetto tutte le volte che lo facciamo insieme.
Non sono i chilometri, non sono gli anni, è il baratro invisibile tra gli atomi, manipolato dall’inconscio e dell’incoscienza di bambini spietati che siamo e adulti ingenui che vorremmo essere.
Che c’è? Hai parlato? Io ho sentito qualcosa…