Da antagonisti a collaborazionisti

È necessario ricordare che il diritto a manifestare è sancito dalla costituzione. La legge prevede che per le manifestazioni non sia necessaria alcuna autorizzazione, occorre solo dare un preavviso. Solo in casi straordinari gli organi preposti possono vietare una manifestazione, ma devono darne le motivazioni e avere validi motivi.

Nonostante questo, oggi, per impedire si protesti in favore della Palestina, si vietano le manifestazioni a prescindere. Tutto ciò in vista dell’approvazione del DDL 1660 (adesso alla Camera), provvedimento che inasprirà in maniera inaudita e senza base legale/legittima le pene per chi protesta e dissente (soprattutto per gli ultimi). 

Stiamo parlando di qualcosa di estremamente grave che lede nel profondo la libertà di tutti, non solo quella di chi vuole manifestare. Oggi è la Palestina, domani saranno scioperi sindacali, proteste per lo smantellamento della sanità pubblica… Riguarda tutti.

Alla luce di questo, non solo è giusto ma è vitale mobilitarsi, parlarne, creare consapevolezza, non rimanere immobili davanti a uno stato che ci stà lentamente stringendo sempre più le corde che ci legano le mani. Servono azioni intelligenti, lungimiranti, strategiche che non siano controproducenti. Controproducenti… Su questo mi voglio concentrare.

Da sempre, i vari nemici del popolo hanno usato delle scuse per poter commettere le loro atrocità. Del resto, anche tutte le libertà e i diritti sono solo briciole concesse per mantenere controllo e autorità, ma soprattutto dipendenza dal potere. Il miglior alleato di un potere è quell’antagonismo che può essere sfruttato per dimostrare che quello stesso potere è necessario. 

Paradossalmente, ad esempio, oggi il miglior alleato delle politiche genocide dello stato con la stella blu è proprio il terrorismo contro quello stato. Nella storia sono innumerevoli gli esempi in cui un potere, grazie alla propaganda, ha ingigantito o addirittura si è inventato un nemico in modo da avere la scusa per poter agire come preventivamente pianificato, con il vantaggio di fingere di avere uno scopo nobile, necessario e condiviso.

Oggi lo stato proclama che le manifestazioni sono un pericolo per l’ordine pubblico. Cioè le parole, le idee, e la libertà di esprimere dissenso rappresentano una minaccia tale alla sicurezza da impedire di esercitare un diritto garantito dalla costituzione. Una pericolosa propaganda becera e insensata da cui dobbiamo difenderci. Come? Protestando in piazza cercando lo scontro con le forze dell’ordine o danneggiando la città? Non penso proprio. Anzi, questa è proprio la cosa che il potere si aspetta e che spera accada in quanto corrobora la sua propaganda. Queste azioni sono benzina nel motore statale.

Oltre a questo, lo scontro diretto con le forze dell’ordine durante una manifestazione pro Palestina a cosa serve? A chi serve? Non certo ai Palestinesi. A prescindere dalla protesta pro Palestina, quando un corteo, autorizzato o meno che sia, si trova la strada sbarrata da un cordone della polizia, quale risultato socio-politico si ottiene a cercare di forzare il blocco? A parte il fatto che non si vince, mai, se non manganellate, incarcerazioni, ed energie sprecate, mettiamo il caso che il corteo “sgomini” il blocco. Poi? Si va a conquistare la caserma? Cos’è? Risiko?

Non serve uno stratega militare per comprendere che è un’azione assolutamente controproducente. Non serve alla causa per la quale si manifesta e non serve a difendere il diritto di manifestare. Serve solo allo stato, al potere, ai padroni a cui facciamo un regalo enorme trasformandoci in facili bersagli, sia dei manganelli che della propaganda, lasciandoli marciare sui nostri errori e saldando la loro egemonia.

Serve ben altro… Immaginiamo per un secondo cosa avrebbe significato, in questo specifico contesto, creare manifestazioni alternative o boicottaggi, ad esempio attraverso la rete, o magari in piazza comunque, ma ad esempio restando immobili con le mani legate dietro alla schiena. Si sarebbe manifestato comunque per la Palestina, si sarebbe riusciti anche a protestare contro la stretta sulle manifestazioni e, soprattutto, senza corroborare la propaganda di governo.

Io sto parlando di pensare ad attività che servano la causa, l’ideale per cui, teoricamente, tutti noi vorremmo batterci. A me pare invece che la cosa più importante per le organizzazioni antagoniste del potere sia invece il mero scontro e riconoscersi nel gioco delle parti “noi contro loro”. In un certo senso importa più il sentirsi ribelli, e non se quello che si fa è inutile oppure dannoso per le cause per le quali si lotta. Basta autocelebrarsi come antagonisti, senza lungimiranza, senza una lettura profonda e sensata del contesto e delle conseguenze delle proprie azioni.

Chi non sta subendo direttamente un’oppressione contro cui si batte o comunque ha una certa libertà di manovra (soprattutto rispetto a chi è oppresso) ha il dovere morale e politico oltre che la responsabilità di ponderare strategicamente le proprie azioni riconoscendo e sfruttando il proprio privilegio piuttosto che negarlo ipocritamente, giocando a sentirsi “come gli oppressi”, e giustificare così un furore che non lascia spazio a pianificazioni ma solo a risposte di pancia.

Senza queste riflessioni, senza un’efficace e ragionata pianificazione delle iniziative, non esiste alcuna azione politica, non si otterrà mai il consenso e l’appoggio delle masse (indispensabile!) e, al contrario, si porgerà sempre il fianco al potere trasformando di fatto l’antagonismo in vero e proprio collaborazionismo.

Se non si riesce, non dico ad attuare azioni efficaci, ma nemmeno ad evitare quelle che sono controproducenti, prevedo un futuro sempre più nero.

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